La Terra è la nostra casa

In occasione della Giornata mondiale della Terra, Andrei Gennai, direttore, tra l’altro, del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, ci parla dell’importanza di una vera collaborazione nella salvaguardia degli ambienti in cui viviamo. Tutti dobbiamo fare la nostra parte - dipendenti dei parchi, cittadini o turisti - perché ognuno di noi può fare qualcosa per il nostro Pianeta, che è la nostra casa
Andrea Gennai, laurea con lode in Scienze forestali all’Università di Firenze, dal 2015 è professore incaricato dall’Università di Pisa e docente di “Strategie di gestione delle aree protette” nel corso di laurea magistrale in Biologia-conservazione ed evoluzione; dal 2018 poi è docente e membro del Consiglio didattico scientifico del Master universitario di II livello “Capitale naturale ed aree protette. Pianificazione, progettazione e gestione” presso l’Università Sapienza di Roma. È inoltre consulente tecnico scientifico della trasmissione di divulgazione scientifica “Geo” di Rai Tre ed è tra i fondatori di “394: Associazione nazionale dipendenti aree protette”, una struttura impegnata nella nascita di un vero sistema delle aree protette d’Italia. A settembre dello scorso anno è stato nominato direttore del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi Monte Falterona e Campigna, in Toscana.
La Giornata mondiale della Terra vuole sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi legati alla salvaguardia del nostro Pianeta. Lo scorso anno si è concentrata sul problema dello smaltimento della plastica, quest’anno invece il tema è “Il nostro potere, il nostro pianeta”, per spingere alla produzione globale di energia rinnovabile entro il 2030. Cosa possiamo fare secondo lei?
I parchi, e le aree protette in generale, pur non avendo come obiettivo istituzionale quello della produzione di energia, non si sottraggono a questo pensiero, sia perché ci riteniamo laboratori sperimentali di sostenibilità sia perché pian piano stiamo occupando superfici sempre più ampie, dunque, dobbiamo fare anche i conti con questo aspetto. Sicuramente escludiamo la sostenibilità dell'utilizzo energetico delle biomasse, quindi le aree protette dicono no all’uso degli alberi e a un loro taglio per la produzione di energia termica ed elettrica, se non a cascata dopo precedenti usi. Siamo invece aperti alla sperimentazione dell'energia da mini idro (idroelettrico di piccole dimensioni), fotovoltaico e anche da eolico. Ma c’è la questione di come farlo; nelle aree protette ci deve essere una sostenibilità in generale ancora maggiore. Accettiamo anche la sfida di utilizzare l'innovazione tecnologica, verificandone però l'impatto ambientale e, laddove ci fossero elementi di inconciliabilità, vedere come risolverli. Noi siamo fiduciosi e crediamo che le aree protette debbano avere un ruolo in questa fase.
Come può un’area protetta aiutare le persone a riscoprire un legame più profondo con l’ambiente?
Negli Stati Uniti, all’interno dei parchi nazionali, ci sono cartelli enormi con scritto “this is yours” (questo è tuo) per stimolare il senso di appartenenza. In Italia, l'approccio culturale ancora non permette di dare queste indicazioni. Se uno scrive “questo è tuo” la gente si porta via piante, terra animali… Stiamo lavorando per cercare di creare questo senso di appartenenza, far sentire tutte le persone custodi e non spettatori. Chi entra in un parco non deve venirci con l'approccio di una visita, ma con l'idea di vivere delle esperienze, partecipare, anche se solo per un giorno, alla gestione e alla tutela di questi territori. Allora sì che i parchi possono coinvolgere il pubblico. In questo senso, stiamo lavorando nei vari settori per riuscire a dare un ruolo a chi viene nei parchi. Vogliamo coinvolgere diverse fasce di persone sia residenti che turisti. A tutti proponiamo esperienze diverse di visita del parco, che siano interessanti, divertenti e socializzanti, ma soprattutto che stimolino emozioni. Penso sia un modo efficace per far capire l’importanza dell’ambiente.
I Parchi sono esempi importanti di biodiversità e tutela ambientale. Quali sono oggi le sfide più urgenti per la loro conservazione?
Oggi la strada da percorrere è la strategia europea e italiana per la biodiversità, che fissa al 2030 obiettivi importanti. Il più conosciuto è quello che stabilisce che, entro il 2030, il 30% di terra o di mare sia all’interno di un’area protetta. Tutti gli Stati membri dovrebbero arrivare a questo traguardo. Ma c’è un obiettivo ancora più ambizioso che dice che un terzo di queste aree protette, e quindi il 10% di ogni Stato membro, deve essere soggetto a protezione rigorosa. Questa è un'utopia che però assomiglia ad altre sfide ambientali di anni fa. In effetti, anche in altri casi le sfide nascevano come utopia e sono diventate realtà. Dobbiamo lavorare anche noi in questo senso, definendo come tutelare in maniera rigorosa la natura, che vuol dire lasciare libertà ai processi naturali, senza imporre alla natura meccanismi e comportamenti decisi dall'uomo. E dobbiamo continuare a vivere questi territori, a valorizzarli per trarne benefici anche indiretti, i famosi benefici ecosistemici. L'Europa ci dice che mancano solo 5 anni al traguardo degli obiettivi previsti per il 2030. Quindi è urgente muoversi con tutte le competenze, le sinergie politiche e la capacità comunicativa che serve per raggiungere l’obiettivo. Questa è la sfida. Abbiamo lavorato sulle specie e sugli habitat, ora dobbiamo concentrarci sui processi della natura.

Pensa che il ruolo della ricerca sia importante per la tutela del nostro Pianeta e quali ritiene siano le azioni più urgenti da promuovere in ambito scientifico?
Ovviamente sì. La legge prevede che i parchi siano luoghi privilegiati per fare ricerca e, soprattutto, monitoraggio. In un certo senso sono argomenti simili, ma sono differenti. Il monitoraggio è un'osservazione continua di questi processi naturali e dei meccanismi a loro legati e serve per due cose: in primo luogo per vedere se andiamo nella direzione giusta a livello di tutela. Si deve capire se le misure di conservazione adottate sono efficaci, altrimenti si rischia di lavorare alla cieca. Il secondo aspetto legato al monitoraggio è scoprire delle novità, ossia vedere cose dei processi naturali che non avevamo capito bene. Faccio un esempio, forse banale, se leggiamo il monitoraggio della fauna in un arco temporale di 5 anni, rischiamo di trarre conclusioni non corrette che invece un monitoraggio più lungo, diciamo 30-40 anni, ci può aiutare a superare. Se i cervi in abbondanza in un parco mangiano tutta la rinnovazione forestale e osservo questo fenomeno in un periodo troppo breve rischio di arrivare alla conclusione che i cervi sono un danno. Se invece osservo il fenomeno per un periodo molto più lungo capisco, attraverso i monitoraggi, che l'equilibrio è fatto di sommatorie di squilibri: in un momento vincono i cervi e in un altro vince la foresta. Nel lungo periodo c'è equilibrio e quindi la ricerca, e soprattutto il monitoraggio, ci serve per imparare anche questo fenomeno e capire i meccanismi naturali. Se si considera una fotografia istantanea della situazione, senza analizzare il lungo periodo, ci si può fare un’idea sbagliata del fenomeno e cercare di intervenire con azioni che ingigantiscono il problema.
Le nuove tecnologie possono essere sia una minaccia, per l’impatto che hanno sulle risorse naturali, sia una grande opportunità, ad esempio nel monitoraggio ambientale o nella promozione della sostenibilità. Dal suo punto di vista, qual è oggi il reale impatto della tecnologia sulla tutela della Terra e come si può trovare un equilibrio tra innovazione e conservazione della natura?
La nostra impostazione è laica, nel senso che pensiamo che l’innovazione tecnologica sia uno strumento importante, ma ovviamente dipende da come la si usa. Noi stiamo cercando di usarlo in maniera funzionale alla conservazione, e direi con successo. Per fare un esempio, in autunno quando i cervi sono in amore, da diversi anni coinvolgiamo le persone nel monitoraggio attraverso il censimento al bramito (richiamo d’amore emesso dai maschi dei cervi). Fino ad oggi sono arrivate, ogni anno, circa 5-600 persone da tutta l'Italia per darci una mano. Il percorso dura tre giorni. Prima veniva fatto esclusivamente in maniera manuale, oggi, grazie ai finanziamenti del Pnrr, abbiamo sviluppato un’applicazione che, tramite il telefonino, permette di registrare in maniera più rapida il censimento dei cervi in amore. I dati vengono raccolti in tempo reale, sempre grazie alla presenza umana, che non vogliamo perdere: la tecnologia non deve sostituire l'uomo. Non dobbiamo perdere quell'umanità di cui parlavo prima, importantissima per una sensibilizzazione agli aspetti di salvaguardia della natura. Quindi sì, benvenuta l’innovazione ma al servizio dei volontari.
Per la Giornata mondiale della Terra sono previsti progetti particolari all’interno del parco delle foreste casentinesi?
Come area protetta, abbiamo come date di riferimento il 24 maggio, che è la Giornata internazionale dei parchi; il 22 maggio, Giornata internazionale della biodiversità; e poi altre ricorrenze, come la Giornata delle foreste e la Giornata dell'acqua. Per un Parco come il nostro, ovviamente la Giornata internazionale delle foreste è fondamentale e abbiamo proposto specifiche iniziative. Non prevediamo iniziative particolari per quella mondiale della terra, ma sicuramente l’insieme di queste giornate devono essere per tutti punti di riferimento per sviluppare una strategia comunicativa d’impatto. Ogni anno lanciamo delle provocazioni per spezzare la routine di ogni giorno: ci sono giornate in cui devi ricordarti dell'importanza delle cose, della natura, del nostro mondo. Quindi anche per noi la Giornata della Terra è un'occasione importante per inviare messaggi, anche sfruttando i social, e per sensibilizzare le persone. Ed è quello che faremo come Parco delle Foreste Casentinesi.
In occasione della Giornata Mondiale della Terra, quale messaggio vorrebbe lasciare ai cittadini e alle nuove generazioni?
Prendersi cura dell'ambiente di cui si usufruisce e nel quale si vive è di estrema importanza. I parchi sono enti pubblici e lo Stato deve prendersene cura. Ma noi non vogliamo essere gli unici a farlo, vogliamo che la gente ci aiuti in questo. Non è una delega piena la nostra, ma un appello affinché tutta la popolazione - residenti, turisti, giovani e anziani - si senta l'onere e l’onore di prendersi cura dei luoghi che ci circondano. Questo presuppone conoscere il nostro territorio, frequentarlo, fare anche dei sacrifici e delle rinunce. Ma dobbiamo imparare tutti a considerare la Terra come casa nostra.